Uomo snaturato
“umano, dice l’uomo presuntuoso
benevolo signifcando, mite
compassionevole:
e devasta muschiosi boschi
sino alle intime fbre
avvelena fumi azzurri mari
avvelena oceani
stermina creature uniche,
assassina per ornarsi della pelle altrui
quando non scanna in furia, spinola i prigionieri
da giorno a giorno fno al macello,
troppo più nell’inchiavare abile
che a orientarsi tra alitanti pollini
incenerisce chi astrae e opera diversamente,
incenerisce le iridi non uniformi,
incenerisce il cielo”
da Il Dio delle Zecche, Danilo Dolci
L’Agenzia europea per l’ambiente defnisce l’inquinamento come l’alterazione, causata direttamente o indirettamente dall’uomo, delle proprietà biologiche, fsiche, chimiche o radioattive dell’ambiente (dell’acqua, del suolo dell’aria), quando crei un rischio o un potenziale rischio per la salute dell’uomo o la sicurezza e il benessere di ogni specie vivente. Gli inquinanti, dunque, sono sostanze o fattori fsici (ad esempio calore o rumore) che interferiscono con il naturale funzionamento degli ecosistemi: possono essere già presenti in natura, o essere derivare dalle attività dell’uomo.
L’albero immaginato da Bruno Munari come “L’esplosione lentissima di un seme”, rappresenta la simbiosi tra uomo e natura, la più autentica metafora della vita e radicamento dell’uomo su questa terra. La spietata società dei consumi e un progresso sempre meno attento ai cicli naturali, ha allontanato in pochissimo tempo l’uomo dalla natura creando un rapporto “schizzofrenico” a tratti irrisolto. L’uomo si snatura, cementifca, costruisce, produce, consuma, va avanti senza sosta pensando di essere l’unico essere su questa terra.
Nuove radici nascono dalla terra inquinata e fertile di rifuti, una pelle-corteccia pallida e umanizzata che si squarcia a sinistra come un cuore pulsante ancora vitale. Inizia la metamorfosi. I rami si trasformano per dare sfogo agli animali e alle piante, veri cittadini del mondo che ci circonda. Uccelli, pesci, quadrupedi che urlano il loro disprezzo, il loro bisogno di aiuto. Tra il grigiore dei rami malati uno solo sembra non aver perso il colorito e ospita alla sua estremità un fore di Loto. Quest’ultimo ha per gli orientali un forte signifcato spirituale per via della sua particolarità di afondare le radici nel fango, di distendersi sulla superfcie delle acque stagnanti uscendo da esse immacolato e bellissimo: per questo è il simbolo di chi vive nel mondo senza esserne contaminato. Il fore è collegato anche alla resurrezione ed all’immortalità, per via della sua caratteristica di produrre semi anche dopo quattrocento anni. Rinasce, la speranza.